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29/03/24

Cattolicesimo e democrazia


Categoria: EDITORIALI E COMMENTI
Pubblicato Giovedì, 04 Luglio 2013 13:55
  • Silvio Pergameno

Un problema che sicuramente esiste e sul quale non mancano le polemiche è un problema che, sotto profili diversi, investe sia il mondo cattolico che quello laico...se si vuole proprio a cominciare da questa distinzione corrente, sbagliata o per lo meno molto approssimativa, ma che trova sovente occasioni per rinfocolare polemiche.

 

Questa volta l’esca è fornita da monsieur Vincent Peillon, ministro dell’Education nazionale a Parigi nel governo di monsieur François Hollande, socialista come il suo premier e per di più nipote di Léon Blum (la madre ne era figlia). Il ministro ha sostenuto infatti che sussiste una vera incompatibilità fra cattolicesimo e democrazia, riprendendo una polemica nei toni che accompagnarono la denuncia del concordato napoleonico un secolo fa: in sostanza il cattolicesimo va espulso dalla scuola pubblica.

 

Discorsi non nuovi, ma sui quali vale la pena di insistere, anche per i riflessi negli orientamenti politici rispetto a temi oggi particolarmente sensibili (soprattutto poi in tempi di grandi migrazioni intercontinentali). In ogni democrazia lo stato e tutti i pubblici poteri assicurano il godimento dei diritti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla fede religiosa professata o, più in generale, dalle idee e credenze di ciascuno (salve naturalmente le norme penali e la tutela dell’ordine pubblico): è il principio base della laicità delle istituzioni.

 

Ma subito dopo si aprono due strade, e che lo stato imbocchi l’una o l’altra è un fatto tutt’altro che privo di rilevanza proprio per il rispetto dei diritti dei cittadini, anzi ne ha moltissima. Riemerge subito la polemica sul velo che le donne di fede islamica portano abitualmente, ma che la legge francese fa divieto di indossare nei luoghi pubblici chiusi, così come l’esibizione di qualsivoglia oggetto o simbolo “religioso”.

 

A ben vedere si tratta di una norma irrazionale e antidemocratica, perché, proprio in nome della tutela dei principi della democrazia, non si vede perché lo stato e i pubblici poteri debbano entrare nel merito di come una persona si veste; e per di più si tratta di una norma pericolosa per la democrazia, perché è ben difficile, anzi è impossibile, definire con esattezza cosa sia un oggetto religioso.

 

Se poi si dovesse entrare nell’ambito dei sospetti veramente non si sa dove si andrebbe a finire, perché qualunque oggetto potrebbe essere sospettato di essere un simbolo di natura religiosa: non si potrebbe entrare in una scuola o in un qualsiasi ufficio pubblico portando addosso un qualsiasi indumento, monile, foglia di fico … e non parliamo poi dell’ esibizione della nudità integrale …

 

Naturalmente cosa ben diversa è quella dell’esposizione da parte dello stato di simboli religiosi: perché allora è lo stato, o l’ufficio pubblico, o la sede comunale a qualificarsi in senso religioso. In realtà la posizione francese si chiarisce nel momento in cui lo stato diventa componente essenziale dell’identità, nella quale la componente giacobina ha un suo ruolo (e, purtroppo, nel momento in cui la nazione si assimila con lo stato ogni altra idea viene travolta, da quella socialista a quella di superare lo stato in una f federazione sovranazionale).

 

La democrazia americana invece, nata sulla scia della vicenda dei padri fondatori che hanno cercato la piena libertà religiosa al di là dell’Atlantico, e sviluppatasi in una crescita connata dall’afflusso di uomini e donne di ogni fede o credenza o non credenza di ogni genere, sposa il principio opposto, che però non opera soltanto nella direzione antigiacobina. C‘è un episodio recentissimo molto significativo.

 

Giorni fa la Corte federale ha giudicato non contrario alle disposizioni fondamentali della costituzione americana il matrimonio gay (il che non significa affatto, lo si rileva per inciso, che non esistano perplessità nel merito), una decisione nella quale l’aspetto più rilevante sta nel fatto che dei nove componenti della Corte sei sono cattolici.

 

Cattolici laici, per l’appunto – così come vedrei il ministro Peillon in un ruolo di clericalismo anticlericale, che fa del laicismo un’ideologia e dello stato un organismo tutt’altro che laico. Nella democrazia americana i cattolici sono riusciti cioè a dimostrarsi veri tutori della democrazia anche ai massimi livelli istituzionali, proprio perché nella democrazia americana si limitano al massimo gli interventi dello stato e in questo modo di riflesso restano limitate anche le varie componenti sociali nelle pretese da realizzare attraverso lo stato (rischio sharia sulla sfondo…). In Europa non è facile essere laici devoti né devoti laici, né anticlericali laici …



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