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25/04/24

Mefitis di Gennaro Vallifuoco, al Complesso Monumentale Ex Carcere Borbonico di Avellino dal 5 al 29 marzo


Categoria: MOSTRE
Pubblicato Martedì, 01 Marzo 2022 13:51

Non solo una personale concezione artistica, ma anche cultura e tradizioni locali, colte citazioni letterarie, miti e leggende che hanno attraversato la Storia e continuano a sfidare il Tempo. Tutto questo converge in “MEFITIS” di Gennaro Vallifuoco, l’esposizione ospitata dal Complesso Monumentale Ex Carcere Borbonico di Avellino dal 5 al 29 marzo 2022, a cura di Generoso Bruno* ed Augusto Ozzella.

 

“Noi artisti europei dell’area mediterranea abbiamo una grande responsabilità: l’appartenenza ad una Storia importante e ad una Memoria ancestrale – dichiara Gennaro Vallifuoco - E quando l’artista non riesce ad agire all’interno di questa responsabilità, rischia di essere superficiale, pur prestando attenzione alla realtà ed al linguaggio dell’epoca in cui vive. Penso che “MEFITIS” sia una mostra multilinguistica, perché ha la capacità di mettere in sincrono la Storia antica e i nuovi media”.

 

Mefitis era una dea italica, associata storicamente al lago di origine sulfurea nella Valle di Ansanto, un luogo avvolto da misterioso fascino. Questo piccolo lago, che ribolle per le emissioni di gas sulfureo, è indicato da Virgilio nell’Eneide come uno degli accessi agli Inferi. Il forte legame tra le opere in mostra ed il territorio che la ospita è esplicitato, inoltre, dalla scelta dei materiali. L’artista accosta il fango e l’argilla, ricavati proprio dalla Valle di Ansanto, al filo bianco del ricamo delle Pizzillare della Scuola di Tombolo di Santa Paolina. Vallifuoco sperimenta nuovi percorsi artistici, usando legni, tela di juta e di lino, asfalto e guaina liquidi, smalti, terracotta maiolicata e foglia d’oro. 

 

“L’artista, individuando in Mefite la porta di collegamento tra il sensibile e l’oltremondano, muove la sua elaborazione attraverso linee di contrasto di luce e ombra – dichiara Generoso Bruno, critico d’arte e curatore dell’esposizione - Più il segno si avvicina alla verità della materia, più difficile appare la sua codifica nell’infinita scomposizione dei piani pittorici”. 

 

Il percorso espositivo è composto da circa 70 opere inedite, realizzate tra il 2007 ed il 2022. A scandire la visita è il componimento sonoro ideato da Marco Messina e Sacha Vinci, basato sul rumore dei fuselli lignei usati per il tombolo e le registrazioni audio effettuate presso la sorgente mefitica. 

 


 

MEFITIS rappresenta per CosmoArt il primo evento dell’anno dopo una lunga fase in cui il mondo dell’arte è stato fermo a causa della pandemia – dichiara Augusto Ozzella, organizzatore dell’evento - Mi auguro che MEFITIS possa segnare anche il termine di un periodo cupo, in cui le restrizioni hanno impedito la fruizione dell’arte dal vivo. Penso che questa mostra aggiunga un ulteriore tassello alla ricerca artistica di Gennaro Vallifuoco, a cui mi lega un rapporto di amicizia e collaborazione professionale che prosegue da anni”. 

 

MEFITIS rappresenta la porzione più recente della ricerca di Gennaro Vallifuoco. L’artista, individuando in Mefite la porta di collegamento tra il sensibile e l’oltremondano, muove la sua elaborazione attraverso linee di contrasto di luce e ombra. Più il segno si avvicina alla verità della materia, più difficile appare la sua codifica nell’infinita scomposizione dei piani pittorici. Durante il lungo percorso produttivo, Vallifuoco progressivamente si allontana dall’idea metafisica, dal gioco di simmetria e dal limite determinato dalla rappresentazione dell’opera che in sé stessa si conclude. È il fluire della pittura, nella sua possibilità di completamento, che si apre allo sguardo dell’osservatore come continua ridefinizione negoziale di un perimetro di relazione. Come irriducibile nucleo di verità, la ricerca muove dagli Xoana conservate presso il Museo archeologico di Avellino.

 

L’artista, nella rappresentazione delle forme, trova come elementi primordiali della materia plasmata, il fango e l’argilla raccolti in Valle d’Ansanto e il filo bianco del ricamo come sottilissima linea di collegamento tra l’avvicendarsi dei cicli vitali. In alcuni episodi – come supporto povero - i legni accolgono i toni combusti di una pittura agita per segni elementari dove anche l’oro degrada, per effetto di un’alchimia inversa, al suo stato nativo. Le opere più mature del ciclo MEFITIS, invece, consegnano Vallifuoco ad una nuovissima tensione analitica dove l’artista procede verso la ridefinizione della propria azione processuale e destrutturando la propria sintassi pittorica, traccia inedite traiettorie di segno e di senso. 

 

L’elemento archeologico rifondato oltre ogni cronologia, divenuto oggetto del presente si pone al servizio della sua potenziale trasformazione. Vallifuoco, nell’era postmediale della produzione artistica, attraversa concettualmente il locus come “rapporto singolare; eppure, universale” (A. Rossi, 1966) in cui l’intera ricerca - la sua elaborazione e la sua produzione – pur operando in maniera congiunta al contesto si pone al di là della sua geolocalizzazione. 

 


 

La sostanza matrilineare porta l’artista campano ad accostare Mefite al culto primigenio della Grande Madre cercando nella tessitura e nel ricamo quella pratica che in tutte le culture custodisce e sovraintende alle occasioni rituali del ciclo vitale e del suo rinnovamento.


Con MEFITIS, oltrepassando le forme più convenzionali della rappresentazione, Vallifuoco lavora ad una produzione diretta di realtà. Per l’artista è la stessa interazione umana a divenire materia dell’opera; su questa premessa mette in forma la relazione con le Maestre e le allieve della Scuola del Tombolo di Santa Paolina. Ognuna delle Pizzillare ha donato all’opera almeno settanta ore di lavoro.

 

In un procedimento compositivo di oltre quattrocento ore, l’intesa sulle scelte di produzione e il grado di autonomia del contributo creativo sorreggono la relazione tra l’artista e la comunità delle ricamatrici. L’opera, incarnata nella sua relazione costituente, trova la sua cartografia nei Cartoni del lavoro e nei fili del Tombolo la sua sintetica manifestazione. Il rumore dei fuselli – gli utensili lignei necessari all’intreccio dei fili – assieme alle audioregistrazioni effettuate presso la sorgente mefitica, trasmutati in componimento sonoro da Marco Messina e Sacha Vinci, oltre ad incardinarsi nella ripetizione dei frame video installati, costituisce la traccia sonora dell’intero percorso espositivo. 

 

In tutta l’elaborazione del ciclo MEFITIS, il lavoro di Gennaro Vallifuoco si identifica nel suo procedimento. L’opera vive nella sua premessa quanto nella sua percezione, attraversando come fatto universale il segno e la sua narrazione. 

 

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*Critico e curatore indipendente. Laureato in Storia e Critica d’Arte. Ha scritto, occupandosi di cinema e di arti visive su quotidiani e periodici a diffusione nazionale. Attualmente collabora con alcune riviste scientifiche e di settore. Ha pubblicato, nel catalogo della mostra EtruSchifano (2018) presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma), lo studio Mater Matuta: Riscoperta di un ciclo. All’Imago Museum (Pescara) nel catalogo della mostra Warhol / Schifano tra pop art e classicismo (2021) è autore del testo Schifano / Warhol. Approssimativamente e - attualmente in uscita - per la mostra Joseph Beuys Difesa della Natura. Facciamo presto! (2022) il saggio Ich glaube an Joseph Beuys [Io credo in Joseph Beuys]. 

 

Biografia di Gennaro Vallifuoco

 


 

Gennaro Vallifuoco dal 1990, anno in cui si diploma in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Firenze, svolge l’attività di scenografo, pittore ed illustratore. 

 

Ha realizzato pubblicazioni editoriali di prestigio tra le quali: “Fiabe Campane” e “Lo Cunto de li cunti”, nella collana “I Millenni”, della casa editrice Einaudi, illustrate da sue opere pittoriche e grafiche.

 

È autore di numerosi allestimenti scenici, tra cui l’opera lirica “Il Re Bello” di Roberto De Simone, in scena al teatro La Pergola di Firenze nel 2004, e di numerosi altri allestimenti scenici in vari teatri e manifestazioni. Nel 2008 ha realizzato il sipario dipinto del Teatro Comunale “Carlo Gesualdo” di Avellino ed è autore di numerose mostre personali e collettive di pittura che lo hanno portato ad avere riconoscimenti nazionali ed internazionali. 

 

Lavora come Scenografo all’Auditorium Parco della Musica di Roma, per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dove, dal 2010, ha curato le scene per le opere liriche: “Lo Scoiattolo in gamba”, musica di Nino Rota e libretto di Eduardo De Filippo, “Chi rapì la topina Costanza?”, musica di Roberta Vacca, “Cosi’ fan tutte”, musica di Wolfgang Amadeus Mozart, “ La piccola volpe astuta”, musica di Leos Janàcek, “L’heure espagnole”, musiche di Maurice Ravel, “Gianni Schicchi”, musica di Giacomo Puccini. 

 

Nel 2012 firma anche le scene per l’Opera Lirica “Adina”, di Gioacchino Rossini, in scena al Reate Festival e le scene per “L’elisir d’amore”, opera buffa in due atti di Gaetano Donizetti, in scena al Teatro Marruccino di Chieti. 

 

Sue le scene per: “La Bohème”, musica di Giacomo Puccini, in scena nel 2013 al Teatro “Carlo Gesualdo” di Avellino. Prosegue inoltre la sua attività di Pittore con numerose mostre personali e collettive, tra queste: le collettive di pittura al Giffoni Film Festival, la Mostra “Omaggio a De Chirico”, a cura della Galleria d’Arte Cà d’Oro di Roma in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa De Chirico di Roma, le personali: al Teatro Olimpico di Roma, alla sede Centrale della Banca Carige di Roma, al Teatro Carlo Gesualdo di Avellino ed in numerose altre gallerie e spazi espositivi pubblici e privati. 

 

Attualmente vive tra Avellino e Napoli dove insegna Scenografia all’Accademia di Belle Arti. 

 


 

Intervista a Gennaro Vallifuoco 

 

Secondo lei qual è la caratteristica principale della mostra “MEFITIS”? 

 

Questa mostra ha la caratteristica principale di essere come una porta aperta, nel Tempo e nello Spazio. Le opere in esposizione attraversano un percorso temporale che parte dal 2007, quando ho iniziato a fare citazioni alla dea Mefite. Ho sempre ritenuto questa dea l’essenza reale dell’Irpinia, al di là della retorica che narra della verde Irpinia. In realtà l’Irpinia è una terra fertile e prosperosa, perché ha un humus importante legato alla fertilità della terra, ma in una dimensione invisibile, proveniente dal sottosuolo, da cui emerge la forza di questa dea che anticamente sovraintendeva ai cicli vita-morte. Praticamente Mefite è la porta di un mondo, come dice Generoso Bruno, tra la vita in luce e la vita in buio. Gli Xoana custoditi nel Museo Archeologico di Avellino richiamano nella forma la dea Mefite, una figura scura, come la Madonna nera, come la Grande Madre Terra. Ritengo che la mostra “MEFITIS” racchiude in sé la duplicità di significato: Mefitis come simbolo di fertilità e come porta tra questa e l’altro mondo. 

 

Per la realizzazione di “MEFITIS” quanto ha contato per lei il contatto con la sua terra? 

 

Non è il contatto con la MIA terra, ma è l’aderenza all’identità dell’area mediterranea. Ed anche oltre. Si tratta di aderenza alle tradizioni ed alla memoria più antiche di tutta la nostra cultura, che affonda le radici anche nella cultura orientale e della Antica Grecia. In area italica i riti legati alla dea Mefite si sviluppano con i Sanniti, con gli Irpini. Poi furono mutuati da Roma, che ne degrada il significato. Virgilio nella Eneide riduce la mefite a porta dell’Inferno, ma non è soltanto questo. È la porta di un mondo che prelude alla vita ed alla forza, un riflesso di ciò che vediamo sulla terra. 

 

Come si è articolato il suo processo creativo per “MEFITIS”? Cosa la ha ispirata? 

 

Sono abituato alla ricerca dei simboli, dei segni di tipo antropologico, per mia indole, probabilmente anche per le esperienze fatte con Roberto De Simone. Nel caso di questa mostra, ad esempio come è accaduto per il tombolo, ho raccolto l’aspetto della dimensione popolare, che ho tradotto in segni, passando attraverso una lettura moderna. L’obiettivo è il rinnovamento linguistico del punto di partenza, il ricapitalizzare l’apparato linguistico dell’idea del tombolo, che è il filo del Tempo, della Memoria, della Storia, ma è anche il filo bianco che sopraintende alla tessitura di questo prezioso manufatto, legato ai cicli morte-vita. Traggo ispirazione da questo e cerco di rinnovarlo con un linguaggio più contemporaneo, che comprende l’uso di materiali poveri. In questa ottica ho usato l’argilla ed il fango mefitico, che concettualmente rappresentano la materia primordiale da plasmare. 

 

Secondo Vallifuoco, qual è il senso dell’arte oggi, calata nell’attualità e nella società del 2022? 

 

Il senso dell’arte oggi è il senso dell’arte come è sempre stato nella storia dell’umanità. Noi artisti europei dell’area mediterranea abbiamo una grande responsabilità: l’appartenenza ad una Storia importante e ad una Memoria ancestrale. L’artista è una persona che deve avere la capacità di essere linguisticamente a disposizione della collettività tutta. Penso che tutto possa diventare arte, tutto è linguaggio. L’arte è immersa nella realtà e, quindi, subisce anche gli influssi legati al mondo della comunicazione, per questo l’artista non può permettersi di escludere niente dal punto di vista di strumento linguistico. 

 

 

Ufficio stampa: Germana GrassoQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. “MEFITIS” ad ingresso gratuito con obbligo di Green pass

Lunedì-sabato: 8.30-13.30/15:30-19:30 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  

 

 



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