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16/04/24

Cannes 2017: The Square sorpassa 120 battiti al minuto. Miglior attori Kruger e Phoenix


Categoria: CINEMA
Pubblicato Lunedì, 29 Maggio 2017 10:46

di Vincenzo Basile

 

La cerimonia della premiazione, dopo il prologo della Bellucci sul senso e la funzione del cinema e sul ruolo delle donne in generale e nel cinema in specie, ha iniziato per bocca del presidente Pedro Almodovar, con la consegna del premio Camera d’oro, dedicato alle opere prime, a June Femmelungometraggio di Léonor Serraille. La protagonista, Laetitia Dosch è stata la prima a salire sul palco. In grande difficoltà emotiva ha ringraziato tutti quelli che l’hanno sostenuta durante le riprese che ha dovuto affrontare in piena gravidanza.

 

A seguire, è stata la volta della Palma d'oro al cortometraggio che è andata al regista cinese Qui Yang per il suo Xiao Cheng er Due.

 

Affermatosi con Forza maggiore (un certain regard, 2015) è lo svedese Ruben Ostlund con The Squaread aggiudicarsi la Palma d'Oro con un film che ironizza sulla condizione umana e i motori delle sue dinamiche sociali. Lo fa raccontando il burn out del rampante direttore di un prestigioso museo scandinavo, schiacciato dai conflitti interiori tra il suo ruolo istituzionale, orientato alla propagazione dell’altruismo e dell’attenzione per l’altro attraverso l’Arte, il classismo sotteso al suo aplomb politically correct e i suoi bisogni affettivi. Claes Bang e Terry Notary incarnano gli estremi delle forze sociali in campo: Il perfetto gentiluomo e la sua Bestia rimossa.

 

 

Sullo sfondo ma neanche tanto, la questione dell’immigrazione.

 

All’annuncio della sua vittoria, il regista improvvisa il suo show scavalcando il palco con l'irruenza di un entusiasmo incontenibile.

 

Poi insieme ai ringraziamenti di rito, trascina la platea a unirsi a lui in un urlo primario di liberazione collettiva, incitando fotografi e video-operatori a riprendere la scena. Applausi divertiti quanto sbalorditi dal colpo di scena improvvisato.

 

Fragoroso segue l'applauso a120 battiti al minuto che vince il Grand Prix. Robin Campillo, francese, ricostruisce le lotte della colonna francese di Act Up (movimento attivista Gay formatosi negli anni ’90 negli USA) e le vicende politiche e umane dei suoi protagonisti.

 

 

"Voglio dire che ho fatto il film insieme a tutte le persone che mi hanno sostenuto; sono contento che sia stata un’avventura collettiva perché racconta una storia collettiva. Voglio ringraziare tutta la troupe e anche i miei compagni dell’epoca. Il film è un omaggio a chi è morto ma anche a chi è sopravvissuto avendo con coraggio messo la propria vita in pericolo per l’attivismo. Stasera penso proprio a loro".

 

Non poteva mancare l’intervento di Almodovar "Io ho amato il film e non avrei potuto amarlo di più. Fin dall'inizio ho chiarito che avrei voluto una giuria democratica e io non sono stato altro che la nona parte di questa giuria. La maggioranza della giuria ha amato il film di Campillo e indipendentemente dal fatto che io sostenga le questioni LGBT il film merita perché ha raccontato un'ingiustizia profonda". E lo ha fatto con un stile documentaristico di tale accuratezza e obbiettività da risultare al contempo un opera di denuncia delle menzogne finalizzate al profitto, di Big Pharma nel mondo. Forte ma mai compiacente l’impatto visivo sia delle missioni dimostrative che delle situazioni intime tra militanti.

 

Discutibile pertanto l’ordine di attribuzione dei primi due premi.

 

 

Miglior attore Joaquin Phoenix, reduce di guerra a caccia di ragazze rapite e offerte al mercato sessuale in You were never really here di Linne Ramsay. "Non me lo aspettavo” ha detto l'attore dal palco e non era di certo l’unico. Sulle scarpe da ginnastica che indossava ha spiegato ”sono inadatte lo so ma ho rimandato a casa quelle più adeguate. Grazie Lynne, ti adoro" alla sua regista.

 

 

Davvero Miglior attrice invece Diane Kruger, per In The Fade di Fatih Akin, madre e moglie disperata alla ricerca di vendetta per la scomparsa della sua famiglia, sterminata da un ordigno neonazista. “Sono sopraffatta dalle emozioni" "Fatih, fratello, ti ringrazio per aver creduto che io potessi avere la forza per questo ruolo. Dedico questo premio a chi pur essendo stato colpito dal terrorismo riesce a trovare la forza di andare avanti”.

 

La miglior regista? Sofia Coppola, per il film L’inganno(The Beguiled), remake della Notte Brava del Soldato Jonathan di Don Siegel del ’71, protagonista all’epoca Clint Eastwood. Qui il cast è di sole donne, Nicole Kidman, Kirsten Dunst e Elle Fanning, più un nugolo di adolescenti, oltre ovviamente al soldato di turno, Colin Farrell.

 

Diffusamente considerato, in mancanza di altre qualità da citare, il film femminista del festival, e il riconoscimento che ha ricevuto, un chiaro segno dell’evoluzione dei tempi e delle coscienze nel riconoscere i meriti artistici delle registe, si teme che difficilmente ne diverrà il vessillo, nonostante la prova delle protagoniste e dello stesso Farrel.

 

 

È quello che deve probabilmente aver pensato Maren Ade, membro di giuria e regista di Toni Edman, nomination all'Oscar e al Golden Globe 2017, vincitrice all'European Film Award 2017 per regia, sceneggiatura, miglior attrice e attore, e FIPRESCI 2016 a Cannes ma, ahimè, con un cognome molto meno evocativo. È toccato a lei l'annuncio e la lettura del messaggio di Sofia, assente per altri impegni.

 

Per tornare alla Kidman, presente quest’anno con tre film e una serie TV, è suo il premio speciale che ogni decennio viene attribuito alla carriera. È stato Will Smith a ritirare il premio del "Settantesimo" in assenza della Star, regalando un'imitazione comica dell'attrice. Lei è poi apparsa in video da Nashville . “Sono molto triste di non essere lì. Adesso sono con la mia famiglia. Bonsoir, je t'aime e a presto".

 

Premio della giuria, legittimo, a Loveless del russo Andrey Zvyagintsev (Leone d’oro a Venezia con Il ritorno) di cui si è già scritto.

 

La migliore sceneggiatura è stata attribuita ex aequo a Yorgos Lanthimos per The Killing of a Sacred Deer con il bis Cannense di Colin Farrell e all’americana Lynne Ramsay per la sfilacciata scrittura di You were never really, che molto discutibilmente raccoglie dunque due premi.

 

Rimane il rammarico per l’assordante silenzio nei confronti di Michael Haneke e del suo Happy End. Nonostante una Isabelle Huppert e un Jean Louis Trintignant in gran forma, nonostante contenuti e forma pregevoli e una regia impeccabile.

 

 

L’Eil d'or è il riconoscimento creato nel 2015 per premiare il miglior documentario tra quelli presentati in tutte le sezioni del Festival. La giuria composta da Sandrine Bonnaire (Senza Tetto ne Legge,1985) e tra gli altri da Lorenzo Codelli, storico del cinema e selezionatore italiano al Festival di Cannes, ha attribuito il premio ad Agnes Varda e JR per Visages Villages.Ed è la stessa Bonnaire a dichiarare “la giuria è stata profondamente emozionata per la scelta di Agnes Varda e di JR di andare alla ricerca delle cosiddette persone semplici, per costruire questo film che rivaluta la considerazione dell’Altro attraverso l’Arte. Due sguardi congiunti, teneri e generosi”.

 

Menzione speciale infine a Emmanuel Gras per Makala, "la vicenda di un giovane africano, raccoglitore ambulante di carbone che, nel tentativo di offrire un avvenire alla sua famiglia scoprirà il valore dei sui sforzi e il prezzo dei suoi sogni".

 

 

È con questo ed altri premi e rassegne che, anche quest’anno il Festival è riuscito a mantenere quello che Gilles Jacob, da 38 anni uno dei pilastri portanti della manifestazione, considera il necessario equilibrio a Cannes, tra l’Industria dello Spettacolo e il Cinema d’Autore.

 

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